sabato 21 febbraio 2015

MINACCIA SULL’ITALIANO. Comunicato Stampa in occasione del 26 Settembre, giornata delle lingue

La situazione linguistica, in seno alle istituzioni europee è delle più gravi. Il “Gruppo Antici” del Consiglio sta studiando, in gran segreto, un modus vivendi linguistico in vista delle nuove adesioni, sulla base del documento della presidenza danese, che non aveva trovato alcun consenso in seno al Consiglio Europeo. Le voci che trapelano sono delle più inquietanti, per tutti, ma in maniera del tutto particolare per l’Italiano che è la lingua di uno dei quattro grandi Stati Membri dell’Unione e Membro Fondatore della Comunità Europea insieme a Francia e Germania.

Si racconta, negli ambienti comunitari di Bruxelles, che l’orientamento del gruppo di lavoro sarebbe quello di consacrare, sulla carta, un sistema basato su tre lingue: francese, inglese e tedesco e che questo  nodo centrale sarebbe accompagnato da misure, tra le più antidemocratiche e tra le meno “comunitarie” immaginabili, le quali, predisporrebbero dei contingenti di traduzione-interpretazione per ogni Stato Membro aldilà dei quali ognuno dovrà pagarsi le proprie traduzioni-interpretazioni, trasformando, in tal modo, questi servizi in una specie di shopping-center à la carte.

Un sistema linguistico di questo tipo occulta completamente la dimensione politica dei Servizi linguistici che invece di essere considerati uno strumento di democrazia, al servizio dei cittadini europei, vengono equiparati a dei servizi di manovalanza, trascurando il fatto evidente che l’Unione Europea ha bisogno urgente di una politica linguistica degna di questo nome.  Nel  sistema, in fase di costruzione, quello che colpisce di più è che questo farà pesare sui Paesi più deboli, e su quelli che non saranno riusciti ad imporre la loro lingua, come lingua di lavoro effettiva, i costi dei servizi di traduzione e di interpretazione, salvo consentire l’uso esclusivo delle tre lingue con grave danno della partecipazione effettiva e concreta, di questi Paesi, al processo di integrazione europeo. Si noti, come ironia finale del sistema, che alle spese per l’uso delle tre lingue contribuiscono tutti i paesi dell’Unione. Gli italiani, quindi, pagheranno perché la loro lingua non sia usata e poi pagheranno di nuovo per avere la traduzione in italiano. Apparentemente, gli ambienti italiani non avrebbero niente da eccepire sulla messa in opera di questo sistema allorché le condizioni imposte all’Italia appaiono talmente inique che costituiscono una ragione valida, tra le più pertinenti, per ritirarsi dall’Unione.

Nessuno finora ha, infatti, spiegato alle autorità italiane, e soprattutto al popolo sovrano, secondo quali criteri la Commissione Prodi abbia ritenuto come lingue di procedura: il francese, l’inglese e il tedesco che sono le lingue di tre dei quattro “grandi” dell’Unione lasciando da parte l’Italia che è il quarto. L’Unione ha infatti solo quattro grandi Paesi e l’Italia è uno di questi. L’Italia è inoltre Membro Fondatore della Comunità Europea e, a questo titolo, depositario del progetto originario. Se il criterio di selezione è quello demografico, che sarebbe il solo ad avere un minimo di legittimità, insieme a quello dell’appartenenza al gruppo fondatore, l’italiano non può non far parte della rosa delle lingue prescelte. Ma Bruxelles tace, le decisioni che si prendono nel settore linguistico sono tra le meno trasparenti.

C’è da chiedersi se Ie autorità di Bruxelles non considerino gli Italiani cittadini di minor peso dei Francesi, dei Tedeschi e dei Britannici. C’è anche da chiedersi se questi fatti, accompagnati dalle politiche nazionali  relative alla pubblica istruzione, non segnino l’inizio ufficiale della colonizzazione linguistica e culturale dell’Europa con il beneplacito dei nostri politici, di ogni bordo, e dei nostri Ministri.

26 Settembre 2003

Comitato per l’Italiano lingua d’Europa
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Allarme Lingua, Lettera a Gianfranco Fini, Ministro degli Affari Esteri

Sua Eccellenza
Gianfranco Fini
Ministro degli Affari Esteri
Palazzo della Farnesina
Roma

Signor Ministro,

A seguito delle dichiarazioni del Presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso sull’eliminazione dell’italiano, in quanto lingua di lavoro di questa istituzione, il Corriere della Sera ha aperto, a giusto titolo, un dibattito su questa importante e delicata questione. Leggo tuttavia con costernazione le prese di posizione della “intellighentia” italiana e in particolare le dichiarazioni del nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

La questione linguistica in seno all’Europa comunitaria, in genere, e in particolare per quanto concerne l’italiano, è male impostata anche da persone che godono di una posizione di prestigio intellettuale  indiscutibile quali Francesco Sabatini e Ernesto Galli della Loggia. Ciò dimostra chiaramente quanto l’essenza profonda del progetto europeo di integrazione sia ancora misconosciuto dai più. I funzionari delle istituzioni europee, da parte loro, pur conoscendo i termini del problema non sono nella posizione di potersi esprimere apertamente perché non hanno altra scelta che quella di conformarsi al sistema posto in opera da un manipolo di attivisti che tutto dirige, celatamente, dall’alto. In quanto funzionara della Commissione Europea so di che cosa parlo perché ho pagato di persona le mie prese di posizione, sulla questione linguistica, non in linea con il pensiero dominante.

Non si può chiedere a tutti di esporsi alle rappresaglie del pensiero dominante che sta diventando pensiero unico, mi pare tuttavia che, se rimane ancora uno straccio di democrazia in Italia e in Europa, i problemi vadano posti nella loro realtà per dar modo ai cittadini di restare tali e non diventare un branco di pecore belanti privi dei punti di riferimento, che possano ispirare le loro scelte, quanto all’interesse generale dell’Italia e dell’Europa. L’eliminazione delle grandi lingue, dal contesto europeo, genera una pessima comunicazione con le istituzioni che lo presiedono e taglia fuori milioni di cittadini, provocando un disinteresse deleterio, come è stato dimostrato dalla partecipazione dei cittadini alle elezioni del Parlamento Europeo e, ancora una volta, dal referendum sulla Costituzione che si è tenuto in Spagna e che ha visto un’affluenza alle urne del solo 42 °/° dell’elettorato. Se le istituzioni europee intendono fare l’Europa a spese dei cittadini europei, sopprimendone la lingua e quindi il contatto diretto, devono essere coscienti del fatto che in tal modo l’Europa non si farà.

Il Governo Italiano non deve accettare la decisione del Presidente Barroso, perché è illegittima e non fondata, e deve mettere in opera tutti i mezzi di cui dispone per farla revocare, a tutti i livelli, non solo per quanto concerne le conferenze stampa. Il Governo italiano può esigere per l’italiano l’identico regime che si applica all’inglese, al francese e al tedesco, nella misura in cui lo statuto di Grande Paese dell’Unione le compete in tutto e per tutto, non solo quanto all’ammontare del contributo finanziario.  L’Italia dovrebbe anche prendere le opportune misure interne e assicurare un’ampia e pertinente informazione ai cittadini italiani su questa importantissima questione che, se non viene risolta rapidamente e definitivamente, rischia di farli scadere a cittadini europei di seconda categoria.

Da tempo, le forze centrifughe, che spingono poco a poco l’Europa verso la barbarie, premono sulle istituzioni europee per indurle ad adottare l’inglese come lingua unica. L’argomento di carattere economico, sventolato ai quattro venti, è solo un pretesto per colonizzare l’Europa e non sta in piedi né sotto il profilo democratico e dei diritti umani, né sotto il profilo del consolidamento dell’Europa e dell’adesione dei cittadini al processo di integrazione in corso, né alla luce di un attento esame sull’impiego delle risorse finanziarie dell’Unione.

Lo stesso colpo inferto all’italiano è già stato tentato, più in sordina, anche con il francese e con il tedesco, in tempi non lontani. Grazie a Dio, almeno queste due lingue si sono salvate. L’allora presidente della Commissione dovette infatti rimangiarsi i suoi propositi per la fermezza con la quale i Ministri degli Affari Esteri francese e tedesco fecero immediatamente conoscere il loro diniego. L’Italia purtroppo, all’epoca, non reagí e per questa ragione, oggi, il Presidente Barroso si permette di uscire allo scoperto, addirittura tramite una comunicazione di livello puramente amministrativo.

Non è tuttavia troppo tardi, l’Italia resta uno dei quattro Grandi dell’Europa, membro fondatore delle Comunità Europee, con diritti, anche linguistici, acquisiti da decenni, con uno straordinario e incontestato splendore culturale e con una demografia che le permette di continuare a mantenerlo vivo in tutte le sue forme di espressione.  L’Italia  può e deve far valere le sue ragioni anche in un’ottica d’interesse generale dell’Europa, nel suo insieme. La componente italiana, presente sin dalla nascita del progetto di integrazione, fa parte del tessuto connettivo della costruzione europea e vi assume un ruolo fondamentale, riconosciuto da tutti i cittadini europei.  L’eliminazione dell’italiano come lingua di lavoro delle istituzioni europee apre una voragine, in quanto gli innumerevoli svantaggi sono di difficile valutazione immediata, e comporta per l’Italia un passo indietro, quanto al suo statuto di grande Paese, in più fondatore, ingiustificabile e inaccettabile.

Il regime linguistico dell’Europa non può essere deciso arbitrariamente, sulla base di criteri soggettivi ed equivoci, ma deve auto generarsi, democraticamente, da una parte, mediante la messa a punto di una vera e propria politica linguistica europea, un sistema per assicurare un sano e concreto plurilinguismo, nelle istituzioni europee, che tenga conto di diversi parametri e in particolare del peso demografico di ciascuna lingua all’interno delle frontiere dell’Unione, dall’altra, attraverso la scelta soggettiva e individuale dei cittadini europei, i quali, come parte in causa, devono potersi esprimere a questo proposito, in particolare nell’ambito della pubblica istruzione. Allo scopo di rendere fondate le loro scelte, devono essere fornite a tutti i cittadini europei informazioni obiettive e dettagliate sulle diverse forme di cultura e sulle lingue europee, sul progetto di integrazione dell’Europa, sulla sua vocazione a conservare e a garantire la diversità, sulle opportunità di vita e di lavoro che offrono i diversi Stati Membri.

Utile ricordare che le scelte linguistiche, poco oculate e per nulla lungimiranti, che si fanno con i programmi della pubblica istruzione nonché nelle diverse manifestazioni di carattere internazionale che si svolgono in Italia, ricadono, poi, pesantemente e negativamente sulla nostra bellissima lingua che nessuno protegge e nessuno valorizza.

In ragione di quanto sopra, mi permetto inviarLe, Signor Ministro,  i risultati di una riunione di esperti sul multilinguismo nelle istituzioni europee e in Europa, tenuta sotto l’egida della Commissione Europea, alla quale hanno partecipato rappresentanti italiani di alto livello, nonché un articolo pubblicato su Civiltà Europea, all’inizio dello scorso anno, che fa il punto della situazione sulla questione dell’italiano, sperando che possano esserLe utili per una valutazione più precisa della questione linguistica, in seno alle istituzioni europee, che è tecnica e politica al tempo stesso e di difficile apprezzamento in quanto originale e inedita perché originale e unico è il progetto di integrazione dell’Europa.

Signor Ministro, mi pare importante sottolineare il fatto che le sorti dell’Italia,  nel caso specifico quelle dell’italiano,  sono nelle Sue mani non in quelle di José Manuel Barroso,  Presidente della Commissione Europea.

Nella speranza che Lei vorrà prevalersi di tutti i mezzi a Sua disposizione per salvare la nostra lingua, la nostra cultura, la partecipazione dell’Italia al progetto di integrazione dell’Europa, al livello che le compete, La prego di gradire, Signor Ministro, l’espressione della mia più alta considerazione e stima,

Anna Maria Campogrande
Rappresentante di Allarme Lingua a Bruxelles
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lunedì 2 febbraio 2015

Appello per le lingue d'Europa

Le istituzioni dell’Unione Europea facendo dell’inglese la lingua unica dell’Europa, violano i Trattati europei.
La scelta dell’inglese come lingua dominante procura notevoli privilegi sul piano economico e politico ai cittadini dei quali è la madre lingua.
I cittadini dell’Unione europea di madre lingua diversa dall’inglese diventano stranieri nell’Unione e partecipano sempre meno alla gestione democratica della “res publica” europea.
Le lingue europee, diverse dalla dominante, perdono sempre più importanza e l’identità culturale dei Paesi  nei quali sono parlate è gravemente minacciata.
Se l’Unione Europea non arresta la corsa al monolinguismo e non torna al pluralismo linguistico perde la sua legittimità e il diritto di esistere.
E’ per questa ragione, che noi chiediamo ai cittadini europei di avvalersi di tutta la loro influenza politica per lottare contro l’evoluzione dell’Europa verso il monolinguismo.
Lanciamo perciò un appello a tutti gli Europei amanti della libertà e   desiderosi di conservare la loro identità e I valori veicolati dalla loro lingua affinché esigano dal Parlamento europeo, dal Consiglio dell’Unione, dalla Commissione Europea:
1.  La priorità della dimensione politica nella questione linguistica, al dilà di ogni considerazione tecnica e finanziaria.
2. Il rispetto della diversità linguistica e culturale nella elaborazione di tutte le politiche comunitarie.
3. Un regime linguistico delle istituzioni europee, scelto secondo regole democratiche e trasparenti,  previo un vero dibattito pubblico.
4. l’adozione d’una politica linguistica fondata sul principio di uguaglianza dei cittadini e, di conseguenza, di uguaglianza delle rispettive lingue e culture.
L’EUROPA SARA’ MULTILINGUE O NON SARA’
Comitato per la democrazia linguistica in Europa
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