giovedì 8 novembre 2001

“Italia il Pinocchio d’Europa”

Invece  di esigere chiaramente e fermamente per l’italiano la pari dignità e l’identico trattamento con le lingue degli altri tre grandi Stati Membri dell’Unione: Francia, Germania e Regno Unito, l’ultima bravata dell’Italia, in sede europea, è stata quella di proporre l’inglese come unica lingua per registrare il Brevetto Europeo.  Dopo di che,  confrontata con la ferma e legittima risposta della Francia e della Germania, si considera discriminata e si profonde in geremiadi e vittimismi. In realtà, proporre l’inglese come lingua unica, senza preoccuparsi della catastrofe culturale che questa soluzione comporta e del comprensibile risentimento della Francia e della Germania, è stato un gesto non solo autolesionista ma anche molto maldestro. Il francese e il tedesco costituiscono un inestimabile patrimonio culturale comune che l’Italia deve difendere riconoscendolo proprio, è solo cosí che può riuscire a coinvolgere Francia e Germania nella difesa dell’italiano. L’azione dell’Italia deve essere rivolta ad affermare, con forza, il pari peso e la pari dignità dell’italiano con le altre grandi lingue che, allo stesso titolo dell’italiano, hanno impregnato della loro particolare “forma mentis” il tessuto filosofico,  sociale, intellettuale dell’Europa nel suo insieme, non a ridurre il patrimonio intellettuale ai minimi termini con l’uso di una sola lingua.

Come si fa a non rendersi conto dell’assurdità  di un simile approccio, purtroppo costante, sulla questione linguistica europea e sulla collaborazione con gli altri Grandi d’Europa. L’Italia, da colonia anglo-americana quale è, non solo, ha completamente trascurato di promuovere adeguatamente e tenacemente l’italiano, ma ha anche tentato di portare pregiudizio alle altre grandi lingue della cultura europea proponendo l’uso del solo inglese. Com’è possibile non  rendersi conto che cosí facendo si metteva contro Francesi e Tedeschi e, ora, come stupirsi del fatto che Francesi e Tedeschi abbiano trovato una soluzione per uscire dalla “impasse” creando un gruppo di Paesi a cooperazione rafforzata che accettano il trilinguismo, francese, inglese e tedesco, e lasciano fuori l’Italia. Con la sua mania di promuovere l’inglese a discapito di tutte le altre lingue europee, purtroppo l’Italia è recidiva, anche Prodi, appena arrivato come Presidente della Commissione Europea cadde nella stessa trappola, ebbe la brillante idea di proporre l’inglese come unica lingua di lavoro e, allorché Francesi e Tedeschi si opposero fermamente esigendo, a giusto titolo, anche l’uso delle loro lingue, il signor Prodi, nonostante la sua posizione di prestigio, non ebbe il riflesso di pretendere identico trattamento per l’italiano, con il risultato che, da quel momento in poi, prese corpo quel trilinguismo iniquo che delle lingue dei grandi Stati Membri dell’Unione discrimina solo l’italiano.

C’è da chiedersi, quando gli Italiani impareranno a comportarsi da Grande Paese in seno all’Europa, su un piano di parità con Francia, Germania e Regno Unito? Quando la finiranno di accettare il ruolo di Paese minore? Quando cominceranno a tessere realzioni di solidarietà e di complicità con gli altri grandi d’Europa, con gli Stati Membri fondatori, con i massimi contribuenti netti, con coloro che sono suoi pari, quando la finiranno di essere inaffidabili per i loro alleati naturali: Francia e Germania. I Tedeschi e i Francesi hanno ragione da vendere a difendere la loro lingua non solo per il peso politico, economico, demografico e culturale di queste due lingue in seno all’Europa ma anche e soprattutto perché, nel caso specifico del Brevetto Europeo, con tutta probabilità, questi due Paesi hanno compreso quello a cui gli Italiani ancora non arrivano, vale a dire che il dover brevettare in una lingua straniera inibisce la creatività.

Gli argomenti da far valere a favore dell’italiano sono di duplice natura, da una parte, il peso istituzionale in seno al processo di integrazione che i Trattati riconoscono all’Italia che è equivalente a quello di Francia, Germania e Regno Unito, e in particolare, in quest’ambito, la sua qualità di terzo contribuente netto al bilancio dell’UE, dall’altra, l’imprescindibile e universalmente riconosciuto suo contributo alla cultura europea. L’Italia deve utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione: reclamare sistematicamente l’interpretazione-traduzione in italiano, fare la politica della sedia vuota, minacciare ritorsioni in materia di contributi al bilancio comunitario ma, mai e poi mai, aprire le ostilità con le altre lingue e anzitutto con quelle di pari peso culturale e istituzionale. Purtroppo, in Italia, da Prodi a Berlusconi,  nessuno è mai stato neanche sfiorato dall’idea che la nostra lingua costituisce un bene irrimpiazzabile perché matrice del nostro modello culturale e della nostra creatività, tutti, al contrario, hanno contribuito allo smantellamento del ruolo dell’italiano in sede europea patrocinando, sistematicamente, il solo inglese e utilizzando a favore dell’italiano argomentazioni al di fuori di qualsiasi logica “comunitaria” e di una benché minima consapevolezza del peso politico, economico, demografico e culturale che i Trattati riconoscono all’Italia nel funzionamento istituzionale della Comunità, prima,  e dell’Unione Europea, ora.

Le autorità italiane si perdono in  considerazioni e percorsi tortuosi, si preoccupano delle venti e più lingue da rispettare, creano confusione alleandosi con la Spagna per protestare e far fronte unico, senza rendersi conto che si tratta di preoccupazioni assurde e fuori contesto perché l’italiano non è il maltese e neanche lo sloveno o il lettone e perché, in seno al processo di integrazione dell’Europa, il peso demografico degli Stati Membri gioca, a giusto titolo, un ruolo fondamentale e la Spagna non è uno dei quattro grandi Stati Membri, è uno Stato Membro minore. Ovviamente, anche la Spagna può far valere  le sue ragioni, si tratta però di argomentazioni di diverso tipo da quelle dell’Italia e fare la battaglia insieme crea confusione.  La posizione dell’Italia di affermare la pari dignità di tutte le lingue e di conseguenza la necessità di un plurilinguismo integrale è meritoria ma non deve diventare autolesiva mettendo come unica alternativa possibile la riduzione al solo uso dell’inglese. In seno al processo di integrazione dell’Europa l’inglese non dispone di alcuna prerogativa per rivestire questo ruolo e l’Italia non ha nessun interesse a intestardirsi a promuoverlo non solo perché è un atteggiamento masochista, da Paese occupato che non dispone della sua piena sovranità, ma anche perché così facendo offende e porta pregiudizio agli altri grandi Stati Membri, suoi naturali alleati.

Purtroppo, l’Italia non cura adeguatamente le realzioni con gli Stati Membri dell’Unione che sono suoi pari e che condividono gli stessi interessi, la diplomazia italiana è ben lontana dall’efficenza dell’epoca di Cavour. Non posso dimenticare la vergogna che ho provato, in quanto Italiana, nel corso di una conferenza, all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, dove un Ambasciatore italiano, del quale non ricordo il nome, ci ha intrattenuto per più di un’ora per raccontarci le sue bravate, in seno alle Nazioni Unite, sulla questione della partecipazione al Consiglio di Sicurezza, dalle quali risultava, che più che battersi per la partecipazione dell’Italia, era riuscito ad impedire la partecipazione della Germania.

Finché l’Italia non diventerà un Paese affidabile, bendisposto e responsabile, in seno al processo di integrazione dell’Europa, finché non riuscirà a liberarsi dei condizionamenti di Paese occupato ormai da più di sessant’anni, finché non opererà a conquistarsi la fiducia e la complicità degli altri Grandi Paesi dell’Unione con i quali condivide, di fatto, sostanziali problematiche, resterà sempre un Paese autolesionista, infido e inaffidabile, il Pinocchio d’Europa.

Anna Maria Campogrande

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