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lunedì 26 ottobre 2015

Comunicato Stampa - "SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA NEL MONDO"

"SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA NEL MONDO"
CHIESTO A BARROSO L'INSERIMENTO DELL'ITALIANO TRA LE LINGUE DI LAVORO.
Adottare con urgenza un quadro giuridico scritto relativo all'utilizzo delle "lingue ufficiali" e delle "lingue di lavoro" dell'UE; elaborare uno studio d'impatto relativo ad un piú corretto uso delle 20 "lingue ufficiali" dell'UE, anche nella prospettiva del prossimo Allargamento e l'inserimento dell'Italiano e di altra/e lingua/e nel novero delle "lingue di lavoro" dell'UE.
Con queste richieste la Delegazione al Parlamento Europeo di Forza Italia, su iniziativa di Alfredo Antoniozzi (FI),primo firmatario del documento, si é rivolta al Presidente Barroso presente al Parlamento di Strasburgo.
"Questa settimana si festeggia, come noto, in tutto il mondo, commenta Alfredo Antoniozzi, "la V settimana della lingua Italiana nel mondo" iniziativa del nostro Ministero degli Affari Esteri. La Delegazione di FI, da sempre sensibile a questa "battaglia" in favore di un maggiore riconoscimento della nostra lingua nell'UE ha ritenuto opportuno rendere omaggio a questa importante celebrazione in tutto il mondo con questa forte iniziativa. I dibattiti in plenaria e le risposte del Commissario Figel non sono stati soddisfacenti, ricordano Antoniozzi ed i Parlamentari Azzurri. Nella lettera noi Europarlamentari di FI riteniamo opportuno ed urgente modificare il sistema attuale che in realtá non esiste perché non c'é niente di scritto.
Nel documento gli Europarlamentari ricordano inoltre come la mancanza di regole scritte non dia garanzia di certezza giuridica e come il sistema attuale non definisca quale sia la differenza tra "lingue ufficiali" (tutte le attuali 20 ) e le "lingue di lavoro" "che non esistono ufficialmente", sottolineano gli Azzurri, "essendo frutto di quella errata consuetudine che vede un uso diffuso di Inglese, Francese e Tedesco." "L'uso dell'Italiano," prosegue la nota, "tra le lingue di lavoro é giustificato, sono le statistiche a darne conferma e la grande diffusione della nostra lingua in Europa ed in tutto il mondo."
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Per ulteriori informazioni:
Ufficio Alfredo Antoniozzi
+ 32 2 284 5516
Email: aantoniozzi@europarl.eu.int
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sabato 21 febbraio 2015

MINACCIA SULL’ITALIANO. Comunicato Stampa in occasione del 26 Settembre, giornata delle lingue

La situazione linguistica, in seno alle istituzioni europee è delle più gravi. Il “Gruppo Antici” del Consiglio sta studiando, in gran segreto, un modus vivendi linguistico in vista delle nuove adesioni, sulla base del documento della presidenza danese, che non aveva trovato alcun consenso in seno al Consiglio Europeo. Le voci che trapelano sono delle più inquietanti, per tutti, ma in maniera del tutto particolare per l’Italiano che è la lingua di uno dei quattro grandi Stati Membri dell’Unione e Membro Fondatore della Comunità Europea insieme a Francia e Germania.

Si racconta, negli ambienti comunitari di Bruxelles, che l’orientamento del gruppo di lavoro sarebbe quello di consacrare, sulla carta, un sistema basato su tre lingue: francese, inglese e tedesco e che questo  nodo centrale sarebbe accompagnato da misure, tra le più antidemocratiche e tra le meno “comunitarie” immaginabili, le quali, predisporrebbero dei contingenti di traduzione-interpretazione per ogni Stato Membro aldilà dei quali ognuno dovrà pagarsi le proprie traduzioni-interpretazioni, trasformando, in tal modo, questi servizi in una specie di shopping-center à la carte.

Un sistema linguistico di questo tipo occulta completamente la dimensione politica dei Servizi linguistici che invece di essere considerati uno strumento di democrazia, al servizio dei cittadini europei, vengono equiparati a dei servizi di manovalanza, trascurando il fatto evidente che l’Unione Europea ha bisogno urgente di una politica linguistica degna di questo nome.  Nel  sistema, in fase di costruzione, quello che colpisce di più è che questo farà pesare sui Paesi più deboli, e su quelli che non saranno riusciti ad imporre la loro lingua, come lingua di lavoro effettiva, i costi dei servizi di traduzione e di interpretazione, salvo consentire l’uso esclusivo delle tre lingue con grave danno della partecipazione effettiva e concreta, di questi Paesi, al processo di integrazione europeo. Si noti, come ironia finale del sistema, che alle spese per l’uso delle tre lingue contribuiscono tutti i paesi dell’Unione. Gli italiani, quindi, pagheranno perché la loro lingua non sia usata e poi pagheranno di nuovo per avere la traduzione in italiano. Apparentemente, gli ambienti italiani non avrebbero niente da eccepire sulla messa in opera di questo sistema allorché le condizioni imposte all’Italia appaiono talmente inique che costituiscono una ragione valida, tra le più pertinenti, per ritirarsi dall’Unione.

Nessuno finora ha, infatti, spiegato alle autorità italiane, e soprattutto al popolo sovrano, secondo quali criteri la Commissione Prodi abbia ritenuto come lingue di procedura: il francese, l’inglese e il tedesco che sono le lingue di tre dei quattro “grandi” dell’Unione lasciando da parte l’Italia che è il quarto. L’Unione ha infatti solo quattro grandi Paesi e l’Italia è uno di questi. L’Italia è inoltre Membro Fondatore della Comunità Europea e, a questo titolo, depositario del progetto originario. Se il criterio di selezione è quello demografico, che sarebbe il solo ad avere un minimo di legittimità, insieme a quello dell’appartenenza al gruppo fondatore, l’italiano non può non far parte della rosa delle lingue prescelte. Ma Bruxelles tace, le decisioni che si prendono nel settore linguistico sono tra le meno trasparenti.

C’è da chiedersi se Ie autorità di Bruxelles non considerino gli Italiani cittadini di minor peso dei Francesi, dei Tedeschi e dei Britannici. C’è anche da chiedersi se questi fatti, accompagnati dalle politiche nazionali  relative alla pubblica istruzione, non segnino l’inizio ufficiale della colonizzazione linguistica e culturale dell’Europa con il beneplacito dei nostri politici, di ogni bordo, e dei nostri Ministri.

26 Settembre 2003

Comitato per l’Italiano lingua d’Europa
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Allarme Lingua, Lettera a Gianfranco Fini, Ministro degli Affari Esteri

Sua Eccellenza
Gianfranco Fini
Ministro degli Affari Esteri
Palazzo della Farnesina
Roma

Signor Ministro,

A seguito delle dichiarazioni del Presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso sull’eliminazione dell’italiano, in quanto lingua di lavoro di questa istituzione, il Corriere della Sera ha aperto, a giusto titolo, un dibattito su questa importante e delicata questione. Leggo tuttavia con costernazione le prese di posizione della “intellighentia” italiana e in particolare le dichiarazioni del nostro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

La questione linguistica in seno all’Europa comunitaria, in genere, e in particolare per quanto concerne l’italiano, è male impostata anche da persone che godono di una posizione di prestigio intellettuale  indiscutibile quali Francesco Sabatini e Ernesto Galli della Loggia. Ciò dimostra chiaramente quanto l’essenza profonda del progetto europeo di integrazione sia ancora misconosciuto dai più. I funzionari delle istituzioni europee, da parte loro, pur conoscendo i termini del problema non sono nella posizione di potersi esprimere apertamente perché non hanno altra scelta che quella di conformarsi al sistema posto in opera da un manipolo di attivisti che tutto dirige, celatamente, dall’alto. In quanto funzionara della Commissione Europea so di che cosa parlo perché ho pagato di persona le mie prese di posizione, sulla questione linguistica, non in linea con il pensiero dominante.

Non si può chiedere a tutti di esporsi alle rappresaglie del pensiero dominante che sta diventando pensiero unico, mi pare tuttavia che, se rimane ancora uno straccio di democrazia in Italia e in Europa, i problemi vadano posti nella loro realtà per dar modo ai cittadini di restare tali e non diventare un branco di pecore belanti privi dei punti di riferimento, che possano ispirare le loro scelte, quanto all’interesse generale dell’Italia e dell’Europa. L’eliminazione delle grandi lingue, dal contesto europeo, genera una pessima comunicazione con le istituzioni che lo presiedono e taglia fuori milioni di cittadini, provocando un disinteresse deleterio, come è stato dimostrato dalla partecipazione dei cittadini alle elezioni del Parlamento Europeo e, ancora una volta, dal referendum sulla Costituzione che si è tenuto in Spagna e che ha visto un’affluenza alle urne del solo 42 °/° dell’elettorato. Se le istituzioni europee intendono fare l’Europa a spese dei cittadini europei, sopprimendone la lingua e quindi il contatto diretto, devono essere coscienti del fatto che in tal modo l’Europa non si farà.

Il Governo Italiano non deve accettare la decisione del Presidente Barroso, perché è illegittima e non fondata, e deve mettere in opera tutti i mezzi di cui dispone per farla revocare, a tutti i livelli, non solo per quanto concerne le conferenze stampa. Il Governo italiano può esigere per l’italiano l’identico regime che si applica all’inglese, al francese e al tedesco, nella misura in cui lo statuto di Grande Paese dell’Unione le compete in tutto e per tutto, non solo quanto all’ammontare del contributo finanziario.  L’Italia dovrebbe anche prendere le opportune misure interne e assicurare un’ampia e pertinente informazione ai cittadini italiani su questa importantissima questione che, se non viene risolta rapidamente e definitivamente, rischia di farli scadere a cittadini europei di seconda categoria.

Da tempo, le forze centrifughe, che spingono poco a poco l’Europa verso la barbarie, premono sulle istituzioni europee per indurle ad adottare l’inglese come lingua unica. L’argomento di carattere economico, sventolato ai quattro venti, è solo un pretesto per colonizzare l’Europa e non sta in piedi né sotto il profilo democratico e dei diritti umani, né sotto il profilo del consolidamento dell’Europa e dell’adesione dei cittadini al processo di integrazione in corso, né alla luce di un attento esame sull’impiego delle risorse finanziarie dell’Unione.

Lo stesso colpo inferto all’italiano è già stato tentato, più in sordina, anche con il francese e con il tedesco, in tempi non lontani. Grazie a Dio, almeno queste due lingue si sono salvate. L’allora presidente della Commissione dovette infatti rimangiarsi i suoi propositi per la fermezza con la quale i Ministri degli Affari Esteri francese e tedesco fecero immediatamente conoscere il loro diniego. L’Italia purtroppo, all’epoca, non reagí e per questa ragione, oggi, il Presidente Barroso si permette di uscire allo scoperto, addirittura tramite una comunicazione di livello puramente amministrativo.

Non è tuttavia troppo tardi, l’Italia resta uno dei quattro Grandi dell’Europa, membro fondatore delle Comunità Europee, con diritti, anche linguistici, acquisiti da decenni, con uno straordinario e incontestato splendore culturale e con una demografia che le permette di continuare a mantenerlo vivo in tutte le sue forme di espressione.  L’Italia  può e deve far valere le sue ragioni anche in un’ottica d’interesse generale dell’Europa, nel suo insieme. La componente italiana, presente sin dalla nascita del progetto di integrazione, fa parte del tessuto connettivo della costruzione europea e vi assume un ruolo fondamentale, riconosciuto da tutti i cittadini europei.  L’eliminazione dell’italiano come lingua di lavoro delle istituzioni europee apre una voragine, in quanto gli innumerevoli svantaggi sono di difficile valutazione immediata, e comporta per l’Italia un passo indietro, quanto al suo statuto di grande Paese, in più fondatore, ingiustificabile e inaccettabile.

Il regime linguistico dell’Europa non può essere deciso arbitrariamente, sulla base di criteri soggettivi ed equivoci, ma deve auto generarsi, democraticamente, da una parte, mediante la messa a punto di una vera e propria politica linguistica europea, un sistema per assicurare un sano e concreto plurilinguismo, nelle istituzioni europee, che tenga conto di diversi parametri e in particolare del peso demografico di ciascuna lingua all’interno delle frontiere dell’Unione, dall’altra, attraverso la scelta soggettiva e individuale dei cittadini europei, i quali, come parte in causa, devono potersi esprimere a questo proposito, in particolare nell’ambito della pubblica istruzione. Allo scopo di rendere fondate le loro scelte, devono essere fornite a tutti i cittadini europei informazioni obiettive e dettagliate sulle diverse forme di cultura e sulle lingue europee, sul progetto di integrazione dell’Europa, sulla sua vocazione a conservare e a garantire la diversità, sulle opportunità di vita e di lavoro che offrono i diversi Stati Membri.

Utile ricordare che le scelte linguistiche, poco oculate e per nulla lungimiranti, che si fanno con i programmi della pubblica istruzione nonché nelle diverse manifestazioni di carattere internazionale che si svolgono in Italia, ricadono, poi, pesantemente e negativamente sulla nostra bellissima lingua che nessuno protegge e nessuno valorizza.

In ragione di quanto sopra, mi permetto inviarLe, Signor Ministro,  i risultati di una riunione di esperti sul multilinguismo nelle istituzioni europee e in Europa, tenuta sotto l’egida della Commissione Europea, alla quale hanno partecipato rappresentanti italiani di alto livello, nonché un articolo pubblicato su Civiltà Europea, all’inizio dello scorso anno, che fa il punto della situazione sulla questione dell’italiano, sperando che possano esserLe utili per una valutazione più precisa della questione linguistica, in seno alle istituzioni europee, che è tecnica e politica al tempo stesso e di difficile apprezzamento in quanto originale e inedita perché originale e unico è il progetto di integrazione dell’Europa.

Signor Ministro, mi pare importante sottolineare il fatto che le sorti dell’Italia,  nel caso specifico quelle dell’italiano,  sono nelle Sue mani non in quelle di José Manuel Barroso,  Presidente della Commissione Europea.

Nella speranza che Lei vorrà prevalersi di tutti i mezzi a Sua disposizione per salvare la nostra lingua, la nostra cultura, la partecipazione dell’Italia al progetto di integrazione dell’Europa, al livello che le compete, La prego di gradire, Signor Ministro, l’espressione della mia più alta considerazione e stima,

Anna Maria Campogrande
Rappresentante di Allarme Lingua a Bruxelles
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lunedì 30 aprile 2012

Comunicato stampa - Presentazione del Manifesto per la Difesa e la promozione della Lingua Italiana

In concomitanza con la chiusura del 25° Salone Internazionale del libro di Torino, avrà luogo il 14 maggio prossimo alle ore 12, presso i locali dello stesso, Spazio Autori B, la presentazione del Manifesto per la Difesa e la promozione della Lingua Italiana.

Firmatari del documento sono Allarme Lingua, gruppo che da tempo si muove in difesa della lingua e dell’identità italiana contro gli attacchi indiscriminati in nome del “pensiero unico globale”, Athena, associazione per la difesa e la promozione delle lingue ufficiali della Comunità Europea, creata in seno alle istituzioni europee nel 2006, che opera in seno alle stesse istituzioni e in tutti i Paesi dell’Unione Europea, nonché la storica Lega Nazionale, nata nel 1891 a Trieste per vegliare sull’identità italiana del Trentino e della Venezia Giulia e Dalmazia, allora parte dell’Impero Austro-ungarico.

Destinatarie del Manifesto sono, in primo luogo, le istituzioni dello Stato, prime tra tutte, quelle responsabili e garanti, per statuto, a vigilare , ad intraprendere le azioni necessarie, a promuovere le opportune misure, per assicurare alla lingua e alla cultura italiana il ruolo, la diffusione, la pratica e il prestigio che loro competono. Questa attenzione delle istituzioni appare particolarmente necessaria e urgente nell’attuale momento storico in cui, in nome delle tecno-ideologie e della speculazione delle élites predatrici dell’economia e della finanza, viviamo l’epoca del surrealismo economico e commerciale, sotto il cui predominio si rischia di mandare al macero secoli di storia e di cultura che hanno reso celebre l’Italia nel Mondo.

L’appuntamento torinese appare particolarmente opportuno e pertinente, tenuto conto delle derive in materia linguistica anche da parte delle istituzioni. Ne citiamo una sola, ma grave ed emblematica, quella che concerne la decisione del Politecnico di Milano di sostituire l’italiano con l’inglese quale lingua di laurea a partire dal 2014. Tale decisione, peraltro discutibile anche sotto il profilo giuridico-costituzionale, ha dato luogo ad una pronta reazione della Società “Dante Alighieri”, la quale, però, non deve rimanere da sola a battersi in favore della lingua e della cultura italiana, ma trovare, in tutti e per tutto, il necessario seguito con azioni di sostegno, affinché l’italiano non finisca con l’essere relegato al rango di lingua di vecchi e di folclore per turisti.

Il Comitato Esecutivo di Allarme Lingua
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venerdì 8 febbraio 2002

Regime linguistique. 4 Points de réflexion

To: Morgantini Luisa (EP)
Subject: Israel must reimburse the EU
Importance: High
Sensitivity: Personal

Riferendomi al comunicato-stampa diffuso da ATTAC, sui danni di Israele alla Palestina, sarei molto grata all'On. Morgantini se, nella sua qualità di parlamentare italiana, e nel rispetto dei cittadini che l'hanno eletta, volesse avere il riguardo di scrivere i suoi testi nella nostra bellissima, cenerentola lingua. I parlamentari europei sono gli unici che possono ancora contribuire efficacemente, in assenza di un governo sensibilizzato, a salvare la situazione delle lingue di lavoro delle istituzioni europee.

In tutta franchezza, al momento attuale, il ruolo dell'Italia, della sua lingua e della sua cultura, in seno alle istituzioni europee, mi sembra, di gran lunga, più importante dei problemi legati all'Accordo di Associazione con Israele. "Primum vivere, deinde philosophari".

Il posto dell'Italia in Europa, è quello di uno dei grandi Paesi fondatori.

Grande, dal punto di vista demografico, economico, politico e culturale e quindi non un Paese minore.

In quanto cittadina italiana, discriminatissima dall'attuale regime linguistico delle istituzioni comunitarie, in fase di ulteriori degradi, nell'indifferenza totale dei governi che si sono avvicendati, ringrazio molto vivamente per, l'eventuale, seguito che sarà dato alla mia richiesta.

Le istituzioni europee, spinte da forze occulte e centrifughe, stanno, nella fase attuale e già da qualche tempo, svendendo quelli che sono il patrimonio e le prerogative del "popolo sovrano", il quale è all'oscuro di tutto. La perdita della propria lingua, della propria cultura, della propria identità è un prezzo troppo alto da pagare all'Europa. Infatti, e a giusto titolo, non è previsto in nessuno dei Trattati costitutivi dal 1952 ad oggi. Non tener conto di questi punti fermi, di carattere fondamentale, significa creare, in seno all'Europa, disuguaglianze e discriminazioni ingiustificate e ingiustificabili, significa dar spazio a una cultura dominante e generare cittadini di prima e di seconda categoria. Queste ingiustizie di carattere culturale, a termine, destabilizzeranno l'Europa e saranno all'origine di nuovi conflitti.

Il caso di Israele e quello dell'Irlanda del Nord dovrebbero insegnare che non si può, impunemente, ignorare l'aspetto "culturale" nel quotidiano convivere delle genti senza creare conflitti insolubili. Continuare sulle deviazioni intraprese, significa programmare, a termine, la balcanizzazione dell'Europa.  Ai semplicioni che predicano una lingua unica, come negli Stati Uniti, è doveroso ricordare che il prezzo di questa  uniformità è stato, come minimo ma non solo, il genocidio degli indigeni.

Anna Maria Campogrande
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giovedì 8 novembre 2001

“Italia il Pinocchio d’Europa”

Invece  di esigere chiaramente e fermamente per l’italiano la pari dignità e l’identico trattamento con le lingue degli altri tre grandi Stati Membri dell’Unione: Francia, Germania e Regno Unito, l’ultima bravata dell’Italia, in sede europea, è stata quella di proporre l’inglese come unica lingua per registrare il Brevetto Europeo.  Dopo di che,  confrontata con la ferma e legittima risposta della Francia e della Germania, si considera discriminata e si profonde in geremiadi e vittimismi. In realtà, proporre l’inglese come lingua unica, senza preoccuparsi della catastrofe culturale che questa soluzione comporta e del comprensibile risentimento della Francia e della Germania, è stato un gesto non solo autolesionista ma anche molto maldestro. Il francese e il tedesco costituiscono un inestimabile patrimonio culturale comune che l’Italia deve difendere riconoscendolo proprio, è solo cosí che può riuscire a coinvolgere Francia e Germania nella difesa dell’italiano. L’azione dell’Italia deve essere rivolta ad affermare, con forza, il pari peso e la pari dignità dell’italiano con le altre grandi lingue che, allo stesso titolo dell’italiano, hanno impregnato della loro particolare “forma mentis” il tessuto filosofico,  sociale, intellettuale dell’Europa nel suo insieme, non a ridurre il patrimonio intellettuale ai minimi termini con l’uso di una sola lingua.

Come si fa a non rendersi conto dell’assurdità  di un simile approccio, purtroppo costante, sulla questione linguistica europea e sulla collaborazione con gli altri Grandi d’Europa. L’Italia, da colonia anglo-americana quale è, non solo, ha completamente trascurato di promuovere adeguatamente e tenacemente l’italiano, ma ha anche tentato di portare pregiudizio alle altre grandi lingue della cultura europea proponendo l’uso del solo inglese. Com’è possibile non  rendersi conto che cosí facendo si metteva contro Francesi e Tedeschi e, ora, come stupirsi del fatto che Francesi e Tedeschi abbiano trovato una soluzione per uscire dalla “impasse” creando un gruppo di Paesi a cooperazione rafforzata che accettano il trilinguismo, francese, inglese e tedesco, e lasciano fuori l’Italia. Con la sua mania di promuovere l’inglese a discapito di tutte le altre lingue europee, purtroppo l’Italia è recidiva, anche Prodi, appena arrivato come Presidente della Commissione Europea cadde nella stessa trappola, ebbe la brillante idea di proporre l’inglese come unica lingua di lavoro e, allorché Francesi e Tedeschi si opposero fermamente esigendo, a giusto titolo, anche l’uso delle loro lingue, il signor Prodi, nonostante la sua posizione di prestigio, non ebbe il riflesso di pretendere identico trattamento per l’italiano, con il risultato che, da quel momento in poi, prese corpo quel trilinguismo iniquo che delle lingue dei grandi Stati Membri dell’Unione discrimina solo l’italiano.

C’è da chiedersi, quando gli Italiani impareranno a comportarsi da Grande Paese in seno all’Europa, su un piano di parità con Francia, Germania e Regno Unito? Quando la finiranno di accettare il ruolo di Paese minore? Quando cominceranno a tessere realzioni di solidarietà e di complicità con gli altri grandi d’Europa, con gli Stati Membri fondatori, con i massimi contribuenti netti, con coloro che sono suoi pari, quando la finiranno di essere inaffidabili per i loro alleati naturali: Francia e Germania. I Tedeschi e i Francesi hanno ragione da vendere a difendere la loro lingua non solo per il peso politico, economico, demografico e culturale di queste due lingue in seno all’Europa ma anche e soprattutto perché, nel caso specifico del Brevetto Europeo, con tutta probabilità, questi due Paesi hanno compreso quello a cui gli Italiani ancora non arrivano, vale a dire che il dover brevettare in una lingua straniera inibisce la creatività.

Gli argomenti da far valere a favore dell’italiano sono di duplice natura, da una parte, il peso istituzionale in seno al processo di integrazione che i Trattati riconoscono all’Italia che è equivalente a quello di Francia, Germania e Regno Unito, e in particolare, in quest’ambito, la sua qualità di terzo contribuente netto al bilancio dell’UE, dall’altra, l’imprescindibile e universalmente riconosciuto suo contributo alla cultura europea. L’Italia deve utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione: reclamare sistematicamente l’interpretazione-traduzione in italiano, fare la politica della sedia vuota, minacciare ritorsioni in materia di contributi al bilancio comunitario ma, mai e poi mai, aprire le ostilità con le altre lingue e anzitutto con quelle di pari peso culturale e istituzionale. Purtroppo, in Italia, da Prodi a Berlusconi,  nessuno è mai stato neanche sfiorato dall’idea che la nostra lingua costituisce un bene irrimpiazzabile perché matrice del nostro modello culturale e della nostra creatività, tutti, al contrario, hanno contribuito allo smantellamento del ruolo dell’italiano in sede europea patrocinando, sistematicamente, il solo inglese e utilizzando a favore dell’italiano argomentazioni al di fuori di qualsiasi logica “comunitaria” e di una benché minima consapevolezza del peso politico, economico, demografico e culturale che i Trattati riconoscono all’Italia nel funzionamento istituzionale della Comunità, prima,  e dell’Unione Europea, ora.

Le autorità italiane si perdono in  considerazioni e percorsi tortuosi, si preoccupano delle venti e più lingue da rispettare, creano confusione alleandosi con la Spagna per protestare e far fronte unico, senza rendersi conto che si tratta di preoccupazioni assurde e fuori contesto perché l’italiano non è il maltese e neanche lo sloveno o il lettone e perché, in seno al processo di integrazione dell’Europa, il peso demografico degli Stati Membri gioca, a giusto titolo, un ruolo fondamentale e la Spagna non è uno dei quattro grandi Stati Membri, è uno Stato Membro minore. Ovviamente, anche la Spagna può far valere  le sue ragioni, si tratta però di argomentazioni di diverso tipo da quelle dell’Italia e fare la battaglia insieme crea confusione.  La posizione dell’Italia di affermare la pari dignità di tutte le lingue e di conseguenza la necessità di un plurilinguismo integrale è meritoria ma non deve diventare autolesiva mettendo come unica alternativa possibile la riduzione al solo uso dell’inglese. In seno al processo di integrazione dell’Europa l’inglese non dispone di alcuna prerogativa per rivestire questo ruolo e l’Italia non ha nessun interesse a intestardirsi a promuoverlo non solo perché è un atteggiamento masochista, da Paese occupato che non dispone della sua piena sovranità, ma anche perché così facendo offende e porta pregiudizio agli altri grandi Stati Membri, suoi naturali alleati.

Purtroppo, l’Italia non cura adeguatamente le realzioni con gli Stati Membri dell’Unione che sono suoi pari e che condividono gli stessi interessi, la diplomazia italiana è ben lontana dall’efficenza dell’epoca di Cavour. Non posso dimenticare la vergogna che ho provato, in quanto Italiana, nel corso di una conferenza, all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, dove un Ambasciatore italiano, del quale non ricordo il nome, ci ha intrattenuto per più di un’ora per raccontarci le sue bravate, in seno alle Nazioni Unite, sulla questione della partecipazione al Consiglio di Sicurezza, dalle quali risultava, che più che battersi per la partecipazione dell’Italia, era riuscito ad impedire la partecipazione della Germania.

Finché l’Italia non diventerà un Paese affidabile, bendisposto e responsabile, in seno al processo di integrazione dell’Europa, finché non riuscirà a liberarsi dei condizionamenti di Paese occupato ormai da più di sessant’anni, finché non opererà a conquistarsi la fiducia e la complicità degli altri Grandi Paesi dell’Unione con i quali condivide, di fatto, sostanziali problematiche, resterà sempre un Paese autolesionista, infido e inaffidabile, il Pinocchio d’Europa.

Anna Maria Campogrande

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Lettera a Romano Prodi, Presidente della Commissione Europea

Signor Presidente,

L' Eurobrevetto riporta alla ribalta dell'attualità il problema delle lingue con  l' inquietante spettro della lingua unica.  Noi funzionari della Commissione, cittadini europei più vicini di altri agli affari dell'Europa, siamo sempre più preoccupati per l' andamento che prendono le cose, per i pretesti che si invocano, per le diversioni che si fanno, con grave danno dei  più elementari principî di democrazia e di semplice buonsenso.

A coloro che stanno cercando di distruggere queste meravigliose istituzioni, che sono la casa di tutti i cittadini europei, invocando i criteri economici e lo spirito di una qualsiasi impresa privata,  va ricordato,  Signor Presidente, che la Commissione Europea e le altre istituzioni, non sono lo spaccio della porta accanto.  Esse sono le, presunte,  istituzioni più prestigiose e più democratiche del mondo e non possono funzionare con i criteri di economia della piccola o grande impresa di un qualsiasi settore privato perché la loro qualità di entità pubbliche impone loro altre priorità e, prima fra tutte, la presa in conto dell'interesse generale.  L'interesse del cittadino europeo, di tutti i cittadini europei, Signor Presidente, non consiste  nel fare economia di qualche Euro a testa, non più di uno o due all'anno, per, poi, ritrovarsi tra le mani ogni giorno informazioni, testi e disposizioni varie, magari anche di carattere tecnico, solo in inglese.

L' Europa, Signor Presidente, non riguarda una semplice élite, l'Europa è un'opera che concerne tutti, anche l'uomo della strada, e l'uomo della strada europeo non conosce l'Inglese né lo conosce, peraltro, la stragrande maggioranza dell' "intellegentia" latina.  In questo contesto,   i Servizi di Traduzione e di Interpretazione non rappresentano spese inutili e neanche secondarie, sono, al contrario, spese di prima necessità per l' Europa in marcia. Vale a dire che, nel processo di integrazione europea, i Servizi di  Traduzione e di Interpretazione sono servizi di pubblica utilità.  Voler fare delle economie in questo settore, equivale a voler fare  economia sul latte del neonato,  il quale neonato, in tali condizioni di disagio,  non diventerà mai grande e forte ma resterà una creatura malaticcia e priva di vitalità e, quand'anche, dovesse arrivare all'età adulta non sarà mai nel pieno delle sue potenzialità.

Signor Presidente, la Commissione Europea ha il grande privilegio di poter creare, nel contesto attuale, servizi e posti di lavoro di interesse pubblico, di primaria importanza, non si lasci deviare da coloro, che mirano solo a praticare sull' Europa una nuova forma di colonialismo, faccia quello di cui l' Europa ha bisogno, dia l' impulso necessario alla Commissione e alle altre istituzioni per fare dei Servizi di Traduzione e di Interpretazione dei centri di eccellenza al servizio del cittadino europeo, sia in ascolto quanto ai bisogni dei popoli dell'Unione e tenga conto della loro sovranità, troppo spesso disconosciuta, sia lei stesso al servizio dell' Europa tutta intera, non perda il suo appuntamento con la Storia.

Al fine di tutelare gli interessi politici, economici, linguistici e culturali di tutti i cittadini europei, mi permetto, Signor Presidente, di accludere, in allegato, una breve riflessione che potrebbe servire da canovaccio per un codice di buona condotta sull'uso delle lingue in seno all' Europa comunitaria. La prego vivamente di volermi accordare la sua inestimabile attenzione su questo tema di estrema importanza per il consolidarsi di un' Europa sana, giusta e democratica e di voler tener conto del fatto che nel rivolgermi a Lei non sono spinta da un semplice, anche se legittimo, interesse personale ma da  quello che io considero un obbligo, che incombe a tutti i funzionari  delle istituzioni europee, e che trova origine nell'articolo 21 del nostro Statuto che riconosce ai funzionari europei il diritto-dovere di assistere e consigliare i propri superiori.

Le auguro la lucidità e la chiaroveggenza necessarie e indispensabili per portare a termine la sua bellissima, difficile missione. Il suo successo sarà quello di tutti noi: gli Europei.

Voglia gradire, Signor Presidente, l’espressione della mia più alta stima e devozione,

Anna Maria Campogrande
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